Appunti sparsi sul comodino di questa stanza

 


So che non lo sai e non vai in giro a indovinare. Che il tuo tempo è d'oro e, quando è accompagnato dal vento, scompiglia i tuoi pensieri. So che non perdi mai la testa, pensando alla ricchezza di ricordi che conserviamo, so che ti prendi il tuo tempo per lavorare sui circuiti stampati, armeggiare con gli attrezzi, tirare fuori le monete dalle tasche, so che il multimetro occupa la tua scrivania, che il saldatore, insieme a tutta la latta, tra un suono e l'altro sulla tastiera, ti mette a disagio, che sei sempre stato ordinato, le idee nell'aria, gli allineamenti della tua mente ti confondono, che all'improvviso ti giri quando senti, senza scelta, che la musica e l'energia del tono salgono, sali fino al soffitto e scendi fino al pavimento, aggrappato a una storia di perpetuazione dei percorsi scavati così come erano, organizzati, che ti ho sollevato dal vuoto in cui ti trovavi, che le scale sono scale, anche se altri dicono che non lo sono, che smonti la radio e la frequenza ti solleva fino al ritornello, saliamo le scale per il paradiso? 
E io, scendendo per i pendii del nostro passato, lo so, mia cara, ordinata, chiusa, polverosa, che fingo di essere morta, e tu, assorta, torni alla carta, ci scarabocchi i tuoi pensieri, un'altra frase, un'altra idea, ma poi squilla il telefono, e tu fingi di essere morta per lui, insisti e ritorni, rovinando l'attimo, quel solfeggio che hai strappato al ritornello, in un falsetto, un accordo stridulo, e io ritorno nei tuoi pensieri, appaio e faccio vento, mi alzo e tu torni lentamente, ti siedi lentamente, ora più lentamente e scrivi sulla fotografia, senza che nessuno veda, aumenti la diottria senza che ti faccia male da parte mia e segni sul mio viso il desiderio del tuo sguardo. E io qui, a rimuginare, a farcela, a cucire, a masticare gomme, a sollevare tappeti e coperte, ad appendere macchine per vestiti alle corde, a scuotere poesie e strofe e struttura ed elfi e maghi, e tu mi chiudi di nuovo, ma i tuoi occhi mi seguono a distanza che ti prendi cura del tuo petto, tu giuri e menti e dici di non sentire ciò che senti. E qui, qui, ad ascoltare i tuoi passi, a stringerti tra le tue braccia, a schiacciare la fotografia, mentre il giorno è bello, mentre l'amore è nella roca e nel fuso, se sarai all'estero, la tempesta perfetta che ti fermerà, che ti porterà nello stesso posto, dove un giorno, e tutto il giorno era, Quel giorno che era notte e giorno della stessa fortuna, mera epifania, stella polare, l'agonia se ne andò, fu solo un secondo, ma in questo secondo, sollevai il mondo e allungai gli occhi e potei vederti piangere.
E ti ho lasciato al sicuro, intoccabile, nelle tue convinzioni e ho leccato le lacrime dei tuoi disaccordi finché non ti ho sentito calmarti. Ma sul comodino, proprio accanto a me, la tua foto mostra la stessa cosa di 25 anni fa. Tu eri già tutto e io sono un imbarazzo, l'alga che viene dal mare per ostacolarti tra le onde, le alghe dei tuoi passi incerti, mentre crolli. E tu lì, nel mondo. E io, sempre in attesa, nell'intima sfera della sinfonia che solo io sento, mentre piango per te, mentre taccio le parole che mi chiedi di tacere, taccio, e cancello ciò che dico, così, muto come il servo che tiene il tuo ritratto, dicendo addio al resto di noi, che è il resto di tutto ciò che apprezzo, strappando ricordi con le dita e con le parole, proiettando futuri senza ostacoli, dove sei ancora presente, dove sei ancora quella che se n'è andata, solo un corpo assente, ma sei rimasta e ti sei attardata e io ho dovuto lasciarti, ho dovuto strapparti via, così, muta, come sei, così silenziosa, intensamente, nel profondo di me, io che voglio liberarmi, mi ritrovo ancora di più ostaggio del muro, che ti ho lasciato costruire, per poterci salire e spiarti.


Comentários

Mensagens populares